Trattare un argomento come l’intensità di allenamento risulta di estrema importanza. La continua ricerca di etichettature da parte dell’uomo comporti, spesso, un evidente bipolarismo non costruttivo.
Il punto è che, nella diatriba tra chi afferma la superiorità dell’allenamento a buffer e chi, invece, di quello a cedimento, spesso, chi pensa di starsi allenando seguendo un metodo sta in realtà facendo l’esatto opposto.
Cos’è il buffer e il concetto di RIR
Il concetto di buffer nasce dall’ambiente della pesistica e dell’allenamento della forza per poi essere portato più di recente nel mondo del culturismo.
Questo è avvenuto quando ci si è resi conto che questo tipo di gestione dell’intensità fosse in grado di portare a ottenere risultati simili all’allenamento a cedimento. [1]
Per buffer si intende la differenza fra il massimo numero di ripetizioni che si è in grado di fare con un determinato peso e quante effettivamente se ne fanno.
Quindi, se un soggetto è in grado di fare 10 ripetizioni con 80kg di carico (che è il suo 10RM), ma si ferma a 8, ha lavorato a buffer 2, rimanendo con questi “colpi in canna” che vengono definiti RIR. [2][3]
L’acronimo RIR sta per Repetitions in Reserve. Ripetizioni in riserva, quindi il numero di movimenti che possono potenzialmente essere svolti in una data condizione, ma volontariamente non vengono effettuati. Nell’esempio riportato parliamo di 2RIR.
RIR, rapporto con la scala RPE e %1RM
L’utilizzo del RIR sta velocemente andando a sostituire due indicatori a cui in palestra si era ormai abituati, la %1RM e l’RPE.
L’indice “%1RM” indica la percentuale del “One Repetition Maximum”, cioè del massimo carico utilizzabile su una singola ripetizione, da scegliere nell’eseguire un esercizio.
L’indicazione di questo valore in un programma è stato il primo metodo utilizzato nella storia per dare una guida sull’intensità da utilizzare in allenamento.
Infatti, nel tempo, tramite osservazione, sono state create alcune tabelle che rapportano una determinata %1RM a un determinato numero di ripetizioni.
Ritengo però di fondamentale importanza sottolineare come queste indicazioni sono il risultato di una media.
Quando si legge che con 75% 1RM si possono effettuare 10 ripetizioni, quel “si possono” va interpretato come un “si dovrebbe potere”; è probabile che si riescano a fare, ma non è improbabile che, invece, ne escano soltanto 8 o addirittura 11. [4][5][6]
Invece, per chi non lo sapesse, l’acronimo RPE sta per “Rate of Perceived Exertion”. Questa è una scala di valori ripresa dall’allenamento cardiovascolare che indica la percezione soggettiva dello sforzo in relazione alla prestazione richiesta.
Per esempio, se è indicato di fare 8 ripetizioni a RPE10, queste andranno eseguite ricercando il massimo sforzo possibile, cioè devono essere portate a cedimento.
Perché spiegare tutto ciò?
L’utilizzo del RIR si può dire avere una forte derivazione dalla scala RPE, a sua volta derivante da quella della %1RM.
Infatti, fissato l’RPE10 come valore massimo e definito come equivalente al 100% nRM, man mano che questa percentuale si abbassa, anche la prima scala vede numeri più bassi.
A questo punto, definendo RPE9 come l’intensità con cui si riesce a chiudere un determinato numero di ripetizioni potendone potenzialmente fare un’altra, si definisce il RIR come la prossimità al cedimento, in questo caso 1RIR. [2][4]
Per avere una visione più chiara:

N.B. La scala RPE include anche valori decimali; un RPE9.5 indica che con un X carico non è possibile effettuare un’altra ripetizione, ma che si potrebbe chiudere lo stesso numero di ripetizioni con un peso leggermente più elevato (2,5-5kg) [4]
RIR, cedimento e Stimulus to Fatigue Ratio
L’utilizzo della scala RIR all’interno di una programmazione da palestra dà quasi sempre per scontata la mancanza della ricerca del cedimento.
In effetti, spesso, l’utilizzo di una va a creare l’evitamento dell’altro.
Ritengo però importante fare alcune considerazioni per avere una visione più chiara dell’argomento.
Il buffer nel bodybuilding viene utilizzato per consentire un accumulo di volume totale (serie*ripetizioni*carico) allenante maggiore rispetto a quello che si potrebbe ottenere portando ogni esercizio a cedimento.
Questo trova la sua ragione nella costatazione che le serie portate allo stremo causano un accumulo di fatica. Questo andrebbe a causare un dropoff di carico in quelle successive, portando a minor lavoro totale, cioè l’elemento cardine dell’ipertrofia. Lo stesso effetto va preso in considerazione anche quando si guarda a più sedute, dove una prima potrebbe non essere stata ancora recuperata.
Allora, è importante distinguere:
- Fatica Centrale come quella riguardante il sistema nervoso, dal cervello alla placca motrice, cioè fin dove il motoneurone si congiunge alla fibra muscolare;
- Fatica Periferica come propria del muscolo in sé, con esaurimento di glicogeno, ATP, alterazioni ioniche e lesioni muscolari.
La performance vede una riduzione più importante quando il volume allenante in termini di serie risulta elevato. [7][9]
L’influenza sulla performance può colpire lo stesso muscolo che ha causato la fatica, ma anche altri, andando ad avere effetto proprio sulla centralina del corpo umano, che “si rifiuta”, allora, di comandare ai muscoli di lavorare. Infatti, normalmente, i motoneuroni vengono ingaggiati ripetutamente dalla corteccia motoria del cervello per portare ai muscoli lo stimolo di contrarsi, con l’insorgere della fatica questo meccanismo può vedere una riduzione più o meno evidente.
Tutto ciò va visto come un sistema autoprotettivo del corpo.
Prima di approfondire la questione, ti presento l’SFR, dall’inglese Stimulus to Fatigue Ratio, ovvero Rapporto Stimolo Fatica, un concetto introdotto dal tecnico Mike Israetel per classificare gli esercizi in base alla correlazione tra i due elementi.
Infatti, nella stesura di un programma, può risultare strategico tenere conto di questo parametro che si basa su componenti oggettive come l’ampiezza del range di movimento su cui un determinato muscolo lavora in un esercizio e il carico assiale, ma anche una componente soggettiva, cioè come questo si percepisce effettivamente per un particolare gruppo muscolare.
L’utilità di questo concetto sta nel poter andare a giocare sulla selezione degli esercizi sia per quanto riguarda l’ordine all’interno della singola o tra le sedute, sia per la gestione dell’intensità e del volume di allenamento.
Infatti, se ti dovessi chiedere cosa troveresti più stancante tra un 3×12 di Back Squat e di Leg Extension, sono sicuro che punteresti il dito verso il primo.
Aggiunto a questo il fatto che il secondo esercizio, essendo di isolamento, va a colpire praticamente soltanto i quadricipiti, ecco che diventa chiara l’utilità di questa considerazione.
Infatti, è impossibile trascendere da questo tipo di considerazione, soprattutto dal momento in cui stiamo cercando di contestualizzare alcune scelte date troppo spesso per scontate che, poi, portano chi crede di starsi allenando a rimanere sempre uguale.
Una scheda o un programma di allenamento vogliamo che sia:
- Efficace, quindi deve portare risultati;
- Sostenibile, perché deve poter essere ripetuto nel tempo.
Ora, appurato che:
- L’allenamento a buffer porta all’accumulo di meno fatica;
- Abbiamo tipologie di esercizi più o meno faticosi dal punto di vista sistemico;
- Il cedimento è la condizione che porta ai maggiori segnali ipertrofici.
Arriviamo a dedurre che potrebbe essere un’ottima strategia utilizzare…entrambi.
Infatti, per ottenere il maggior stimolo ipertrofico con la minor quantità di fatica cumulativa possibile, a parte programmare l’intensità (cosa che vedremo più avanti), può essere un’ottima strategia quella di andare a portare solo gli esercizi con SFR alto a cedimento, tenendo gli altri, di solito multiarticolari pesanti (≥80%[8][14]), in prossimità di questo.
Volume di allenamento, il vero protagonista
Risulta ormai abbastanza assodata la relazione tra volume, inteso come numero di serie portate vicino al cedimento(RIR≤3), e output ipertrofico nel contesto del resistance training. [9][10]
Questo ha portato alla diffusione di programmi di allenamento con volumi altissimi e intensità piuttosto bassa, dove il cedimento o la vera prossimità vengono ricercate soltanto durante l’ultima settimana del mesociclo, prima dello scarico.
Tutto questo giustificato dal fatto che risulta possibile toccare un numero di serie settimanali considerabili allenanti elevatissimo dal momento che, rimanendo lontani dal cedimento, la fatica cumulata durante e tra le sessioni è recuperabile.
A ciò si contrapponeva precedentemente l’utilizzo di un volume intermedio concentrato in una singola seduta per gruppo muscolare e obbligatoriamente portato al cedimento. La massima intensità veniva ricercata con il vero e proprio obbiettivo di “distruggere” il muscolo tornandolo ad allenare soltanto la settimana successiva, dopo che avrebbe sicuramente recuperato.
In realtà, prendendo in considerazione il corpo totale della ricerca scientifica, emerge che entrambi i modi di fare sono validi al fine di ottenere risultati ipertrofici, ma nessuno dei due risulta davvero ottimizzato.
Infatti, ci si scontra con dei limiti abbastanza importanti derivanti dal fatto che queste due metodiche sono in opposizione ed estremistiche.
Partendo dal secondo, vediamo che:
- Il volume per gruppo muscolare è concentrato in una singola seduta, di conseguenza, portando tutto a cedimento, si finisce dopo le prime serie per utilizzare carichi non o poco allenanti;
- Questo porta, quindi, ad avere un volume totale (serie x ripetizioni x carico) veramente basso;
- Lo spingersi davvero al cedimento porta a un accumulo di fatica sistemica e muscolare molto importante che rischia di andare a influenzare negativamente gli altri allenamenti settimanali. [7][9][11]
Tutto questo da però per scontata l’abilità del soggetto di portarsi a cedimento, cosa davvero rara di cui ti parlerò più avanti.
Mentre, la prima metodica ha il problema che:
- C’è bisogno che il soggetto abbia la voglia e la possibilità di passare tanto tempo ad allenarsi;
- Richiede che la persona sia davvero capace di riconoscere le RIR, c’è addirittura il rischio di deallenarsi;
- Se il cedimento non vuole essere in alcun modo incorporato, risulta necessario utilizzare carichi alti e range di ripetizioni medio-bassi. [12]
Di conseguenza, riallacciandomi a quanto detto fino ad adesso, considerando che:
- Il volume in termini di serie settimanali allenanti è altamente soggettivo;
- Il numero di queste consigliato in media settimanalmente si aggira tra le ~10 e le ~20 per gruppo muscolare. [10].
Consiglio di procedere per analisi-adeguamento che parta dal lower limit del range indicato precedentemente su una struttura costruita sulla base delle analisi fatte in questo articolo che vada ad aggiungere volume a un gruppo muscolare soltanto quando questo stalla nei progressi anche quando il recupero è ben strutturato.
Ricorda che, ovviamente, se stai aumentando il volume e riducendo l’intensità allo stesso tempo, molto probabilmente ti ritrovi a dare il medesimo input allenante e non sei progredito realmente, così come accade facendo l’opposto.
Grossa importanza ha poi la distribuzione del volume di allenamento all’interno del microciclo settimanale.
Se il lunedì hai fatto squat e il martedì ti sfiora anche solo l’idea di rifare un esercizio del genere, sono sicuro che allora stai perdendo tempo in palestra e devi sicuramente aumentare l’intensità.
Infatti, oltre all’enorme fatica sistemica generata, le serie davvero portate in prossimità del cedimento mostrano segni del danno muscolare come accumulo di ammoniaca e CK (Creatina Chinasi) e ridotta produzione di forza sui gruppi colpiti fino a 72h post allenamento. [11] [14]
Di conseguenza, tenere conto di quanto detto e del fatto che l’attuale ricerca scientifica sia concorde nell’affermare la superiorità di una frequenza di almeno due sedute per gruppo muscolare settimanali[15], può portare ad avere una stesura degli allenamenti semplicemente basata su questa necessità di recupero.
Così, anche se ho precedentemente sconsigliato di lavorare a cedimento su tutti gli esercizi del programma, mi sento di consigliare di distribuire il volume di allenamento in modo che ogni gruppo muscolare venga colpito con frequenza alterna.
Mi sento, inoltre, di sconsigliare più full body attaccate durante la settimana, questo porterebbe a dover lavorare con un’intensità davvero ridicola per poter ricolpire lo stesso muscolo il giorno successivo.
Ancora, ricorda che i gruppi muscolari piccoli recuperano prima di quelli grandi e molti soggetti sono in grado di lavorarci anche tutti i giorni.
Inoltre, è importante ricordare che, in base al tipo di progressioni che si decide di portare avanti nella programmazione, la necessità di scaricare potrà insorgere dopo più o meno settimane.
Ad esempio, se nelle prime decidi di tenere 10 serie con 3RIR su tutti i movimenti, l’input costruttivo dato e la fatica cumulata saranno minimi.
Di conseguenza, questo porterà a rimandare nel tempo un accumulo importante di fatica.
Ora, tenere più settimane di allenamento con questi parametri non è strategico, perché parliamo di sedute davvero blande e poco stimolanti.
Di conseguenza, la durata del mesociclo, sì, sicuramente viene influenzata dalla quantità di intensità e volume tenuti, ma questo non sembra poter fare differenza se ci atteniamo alle indicazioni fornite.
I tipi di cedimento e il rapporto con il rischio di infortunio
Per rendersi però bene conto di cosa sia e di come si manifesti effettivamente il cedimento può risultare utile sapere che ne esistono diversi tipi:
- Cedimento Tecnico: Dove non risulta più possibile completare un dato movimento con pulizia tecnica o senza piccoli compensi;
- Cedimento Concentrico: Quando il muscolo primario motore in un esercizio non risulta più in grado di contrarsi;
- Cedimento Isometrico: In cui non risulta più possibile tenere una resistenza in posizione statica;
- Cedimento Muscolare (o Eccentrico): Quando non si riesce più a controllare la fase di distensione del muscolo principale di un’alzata.
Le varie tipologie non sono scritte in ordine sparso, infatti si presenteranno propriamente come una successiva all’altra.
Ovviamente, più ci spingiamo verso quello eccentrico, più il cumulo di fatica, sia quella centrale che periferica, si farà grande.
Dal punto di vista ipertrofico, sembra che la fase eccentrica dell’attivazione muscolare abbia un potenziale lievemente maggiore rispetto a quella concentrica [13], ma, comunque, portarsi fino a questo tipo di cedimento (Forzando la fase di accorciamento) risulta lo stesso poco vantaggioso per diversi motivi:
- Porta a maggior accumulo di fatica e danno muscolare; [7][11][13]
- Si presta solo a pochi macchinari e/o ha bisogno di assistenza esterna;
- È praticamente impossibile da tracciare nelle progressioni;
- Risulta in un rischio infortunio maggiore perché i carichi non sono gestibili.
Di conseguenza, mi sento di dire che l’inclusione di questo tipo di “metodica” si presti soltanto a un avanzato che deve ricercare uno stimolo alternativo che gli possa dare quel 0,5% in più o, semplicemente, a scopo puramente ludico.
Dunque, il cedimento a cui faccio riferimento è quello concentrico, non eccentrico e neanche tecnico.
Questo perché il cedimento tecnico può insorgere in un momento non sempre ben delineato durante lo svolgimento della serie.
Una persona con più esperienza di allenamento saprà sicuramente mantenere una pulizia esecutiva maggiore all’avvicinarsi del cedimento concentrico rispetto a un soggetto meno esperto, che sarà portato da prima ad avere minuscoli compensi inconsci e a sporcare minimamente l’esecuzione.
Così, non si può dire che sia il cedimento in sé ad aumentare il rischio infortunio finché questo è raggiunto con pulizia esecutiva, ma è proprio la difficoltà di ottenerlo con tale modalità a incrementarlo.
I compensi, oltre a generare l’attivazione di altri gruppi muscolari non motori effettivi di un determinato esercizio, portano con sé il potenziale aumento di stress articolare e tendineo sotto un carico esterno. [1]
Inoltre, per quanto riguarda soggetti molto forti, quindi intermedi o avanzati, piuttosto che guardare all’intensità, potrebbe essere opportuno spostare i “multiarticolari pesanti” più avanti nell’ordine degli esercizi, in modo che il cedimento o la prossimità a questo siano raggiunti con meno carico potenzialmente infortunante possibile grazie alla fatica muscolare già accumulata.
L’utilizzo del buffer non è per tutti
Tutto carino, bello e semplice sulla carta, ma ora tocca andare ad allenarsi.
E proprio quando ci si ritrova in palestra molti falliscono. Perché i concetti, anche se teoricamente applicati, nella pratica si scontrano con la realtà, sia soggettiva che situazionale.
Diversi studi di ricerca hanno indagato il rapporto tra RIR ipotizzato dall’atleta durante la performance e l’effettiva vicinanza al cedimento in un range di addirittura 2-3 ripetizioni. [5]
Questo significa che soggetti che stavano dichiarando di star lavorando a 2RIR, in realtà avevano “in canna” anche 5 ripetizioni, praticamente un’intensità non allenante.
Molto spesso, sembra che le persone ancorino la propria prestazione effettiva a quella che devono portare a termine sulla carta. [5][14]
Per fare un esempio, se l’obbiettivo è chiudere 12 ripetizioni a 2RIR, un soggetto sarà portato a fermarsi a quel dato numero di colpi “auto convincendosi” di aver rispettato quella determinata prossimità al cedimento.
Questo è stato mostrato anche con il fatto che chi si allena da solo riesce in pochi casi a spingersi al vero cedimento, mentre la presenza di un supervisore sembra riuscire invece a far esprimere al meglio le persone.[5]
Ancora, la capacità di rendersi conto in maniera attendibile dei RIR tenuti sembra enormemente superiore in atleti con più esperienza, oltre al potenziale di macinare un numero maggiore di ripetizioni a parità di %1RM. [4][5][6][14]
Di conseguenza, nell’implementazione di questo tipo di scala di intensità all’interno del proprio programma di allenamento è fondamentale tenere conto di quanto detto.
Per lavorare a buffer bisogna essere in grado di riconoscere il buffer.
Non ci sono scappatoie e anche persone con elevata anzianità di allenamento possono non essere in grado di avere una buona percezione della prossimità al cedimento, semplicemente perché questa capacità è, come tante altre, altamente soggettiva.
Infatti, si rivela molto utile quando si utilizza il buffer in allenamento effettuare un test di forza su un determinato numero di ripetizioni a una certa cadenza temporale.
Oltre a darci informazioni sugli incrementi di forza di un certo muscolo o movimento, questo test, vedendo lo stop solo al raggiungimento del cedimento concentrico, fornisce dati da comparare con la nostra performance pregressa per capire quanto davvero ci stavamo allenando in prossimità delle 0RIR.
Durante questo test può essere sensato dichiarare le RIR percepite, magari ad alta voce, facendole appuntare a qualcuno, come si è fatto ad esempio nello studio di Zurdos & Co. del 2019. [14]
Se ci si rende conto di non essere “bravi” a riconoscere il buffer suggerisco tre soluzioni:
- Affidarsi a un coach che giudichi dall’esterno il vostro livello di sforzo e che vi istruisca sulle vostre potenzialità;
- Allenarsi per un periodo più o meno vasto cercando il cedimento concentrico ovunque, o quasi;
- Fare periodicamente test su n. ripetizioni per rivalutare la propria scelta dei carichi, cercando di capire se nel tempo la capacità di percezione delle RIR aumenta.
Invece, se ci si allena da poco o ci si allena da poco in maniera “seria” può essere opportuno rimandare l’utilizzo del buffer a quando si ha più esperienza di allenamento.
Infatti, inizialmente è necessario riuscire a comprendere fino a dove ci si può spingere nelle diverse variabili che caratterizzano l’allenamento.
Questo è importante perché un soggetto con poca esperienza può arrivare a discostare la propria percezione anche di 4-5 ripetizioni rispetto alle RIR effettive, arrivando, quindi, a non ottenere una seduta che sia effettivamente allenante. [5][]
Di conseguenza, può essere una buona strategia quella di andare a inserire progressivamente il buffer una volta che la persona abbia più o meno superato il difficilmente definibile stato di neofita.
Identificazione della prossimità al cedimento
Appurato che, a portare risultati ipertrofici, sia il buffer che il cedimento sono idonei e che, per assurdo, messi insieme sembrano offrire il miglior compromesso per ottenere miglioramenti, non resta che capire in che maniera questi possano essere riconosciuti.
Come già detto precedentemente, spesso, la scala RIR è rapportata con la %1RM e RPE, ma, essendo l’iscrizione dell’effettiva performance della persona altamente soggettiva all’interno di questi valori, questo metro di paragone risulta poco valido.
ATTENZIONE!
Poco valido non significa inutile.
Se effettui 10 ripetizioni a cedimento con n. carico è molto probabile che tu ti sia ritrovato al 75% dell’1RM e ancora di più che l’RPE sia stato 10.
Inoltre, anche se la raccolta di informazioni su un soggetto X ci fa creare un sistema di comunicazione molto completo sul rapporto RIR, RPE e capacità di espressione a una certa %1RM non va mai dimenticato che comunque i dati numerici sono sempre da affiancare alle condizioni soggettive e situazionali della singola seduta: come la persona si sente, come ha dormito, mangiato, se è stressata o nervosa. [4]
Ma è importante considerare che la messa in comunicazione di queste scale, a partire dalla precedente raccolta dati, può lo stesso offrire un primo punto di partenza per gestire i carichi nella seduta attuale.
Però, uno dei parametri che più riesce a fornire informazioni sull’intensità risulta la vera e propria velocità di esecuzione della singola ripetizione in dinamico.
Questo perché, mano a mano che ci si avvicina alle 0RIR, il movimento vede un rallentamento sempre maggiore.
Il problema dell’utilizzo di questa indicazione è che è estremamente difficile rendersi conto da soli di quanto sia potuta rallentare una ripetizione rispetto a quella precedente, i sensi sono troppo impegnati a pensare al bruciore, alla pressione e a quella vocina interna che dice di fermarsi, quando, invece, si è (quasi) consapevoli di poter continuare.
Di conseguenza, il parametro velocità può rivelarsi molto utile quando si ha a disposizione qualcuno in grado di dare indicazioni dirette.
E non intendo soltanto il compagno di panca che sta li a dire:
“Ancora un’altra!”
Ma parlo anche di un soggetto esterno, come il proprio coach, che, tramite osservazione diretta o filmati registrati durante la seduta, sia in grado di rapportare le RIR soggettive alle RIR effettive.
Eh si, infatti, per le ragioni sensoriali di cui parlavo poco fa, in allenamento si è portati ad avere coscienza delle RIR soggettive, conseguentemente una scala NON oggettiva, molto più simile alla RPE rispetto alle RIR effettive, cioè che fisiologicamente si è in grado di compiere, che invece è una scala molto più simile a quella della %1RM soggettiva.
Intricato, vero?! Rileggi, che, in realtà, ho scritto una cosa molto più semplice di quel che sembra.
Di conseguenza, mi sento in diritto di fare un’importante affermazione:
Il problema di fondo non è se l’allenarsi a buffer sia più o meno efficace rispetto al cedimento, ma quanto sia effettivamente conveniente tenere delle ripetizioni in riserva, dal momento che, come poco fa detto, sono molto difficili da riconoscere.
Inoltre, rendersi conto di quanto buffer si stia utilizzando risulta ancora più difficile in due contesti:
- A RIR alti, infatti le ripetizioni in riserva percepite diventano più accurate man mano che ci si avvicina al cedimento; [4][14]
- In serie a ripetizioni alte, dopo un certo numero di movimenti, le sensazioni fisiche negative (soprattutto bruciore dovuto alla fatica metabolica) si fanno importanti, tanto da far pensare di avere meno “colpi in canna” di quelli che effettivamente si hanno. [12][14]
Quindi, ricapitolando, l’unione di osservazione interna ed esterna, unita a una raccolta dati costante e duratura nel tempo, che non sia fine a se stessa, sembra il miglior connubio per avere una visione quanto più chiara delle proprie potenzialità in modo da poter seguire al meglio le indicazioni riportate nel programma di allenamento che si sta seguendo.
Ancora più importante risulta, inoltre, la qualità delle informazioni che vengono prese durante le (eventuali) ultime settimane del mesociclo, quando tutti i movimenti possono essere portati almeno alle 0RIR.
Questo periodo risulta il più favorevole al fornire materiale utile sulle reali potenzialità del soggetto, ma ne parlerò al meglio nel prossimo paragrafo.
Programmare il RIR e il cedimento
La relazione dell’atleta con l’intensità può essere programmata sia all’interno del microciclo che del mesociclo, per poi arrivare anche a una gestione più larga nell’intero mesociclo, cosa che preferisco non trattare in questa sede.
Ovviamente, ci tengo a precisare che la gestione dell’intensità di allenamento, così come di tutti gli altri parametri, è una questione estremamente soggettiva, per cui tutte le linee guida che ho riportato fino a ora, che sto per riportare o che semplicemente si trovano sul web sono relative SEMPRE alla persona media e possono anche essere un disastro se utilizzate senza osservazione critica.
Ma ora basta premesse.
Iniziamo della programmazione del RIR all’interno del microciclo, dove, con questo termine si definisce l’arco temporale che racchiude la totalità del lavoro che si intende svolgere sull’insieme dei gruppi muscolari in un periodo di tempo medio.
Solitamente, con microciclo si indica una settimana, ma nulla vieta che un mesociclo possa durare otto, dieci o anche più giorni, infatti, questo deve sempre essere costruito intorno alla quotidianità del soggetto, agli impegni e alla voglia di allenarsi.
Ricapitolando quanto detto nei paragrafi precedenti, all’interno del microciclo sembrano avere vantaggi:
- Non arrivare a cedimento solo sui multiarticolari pesanti;
- Tenere un buffer di massimo 3RIR;
- Ricercare sempre il 0RIR o cedimento sulle alte ripetizioni;
- Utilizzare una media di ~10 – ~20 serie per gruppo muscolare;
- Avere il volume allenante per gruppo muscolare distribuito su almeno 2 sedute, meglio ancora se distanziate tra loro.
Ora, tutto ciò va contestualizzato fortemente.
Se ti rendi conto o ti viene fatto notare di non essere in grado di riconoscere la prossimità al cedimento (vedi i due paragrafi precedenti) può non essere una buona idea quella di implementare il RIR nella tua scheda.
In questo caso risulta più efficace mantenere le 0RIR sugli esercizi potenzialmente pericolosi e a ripetizioni medio-basse, per poi arrivare tranquillamente a cedimento in tutto il resto.
L’unica eccezione può essere fatta durante lo scarico o se si dovesse optare per un microciclo introduttivo. (Scorri qualche riga per saperne di più)
Se, invece, sei una persona che riesce ad avere una percezione abbastanza accurata delle RIR ci sono vari modi di implementarle all’interno della propria scheda.
La prima e la più semplice è quella di distribuire il volume di un gruppo muscolare in una seduta inserendo un primo multiarticolare a buffer susseguito da un esercizio di isolamento a cedimento.
Banalmente, panca piana a buffer susseguito da croci a cedimento.
O, ancora, se il volume da distribuire è superiore, anche panca piana, panca alta manubri e croci. Qui l’intensità potrebbe essere gestita in diversi modi e subire delle modifiche nel corso del mesociclo.
Inoltre, come già detto in precedenza, per soggetti molto forti potrebbe essere opportuno spostare i “multiarticolari pesanti” più avanti nell’ordine degli esercizi. (Vedi paragrafo su cedimento)
Ancora, la distribuzione del volume nell’arco del microciclo avrà diretto impatto sul livello di intensità che può essere svolto in ciascuna seduta di allenamento. Questo diventa ancora più importante quando si portano avanti periodi di specializzazione su un determinato gruppo muscolare che, di solito, arriva a essere battuto con una frequenza piuttosto elevata nello svolgimento di questo tipo di lavoro.
In questo caso può essere opportuno modulare anche negli esercizi di isolamento la prossimità al cedimento.
Per fare un esempio, nel portare avanti un periodo di specializzazione delle spalle (cosa estremamente frequente), si può considerare di allenarle anche in tutte le sedute settimanali, essendo un gruppo muscolare conosciuto per la propria capacità di recupero molto rapida.
Ma potrebbe risultare ancora più opportuno non arrivare a cedimento in tutte le sedute per riuscire ad avere accesso a quantità di volume allenante superiore e poter sfruttare il vantaggio di colpire i deltoidi con una selezione più ampia di movimenti.
Magari, se il soggetto si allena 5/7 giorni di fila, potrebbe optare per arrivare al quinto giorno al cedimento, o addirittura oltre, consapevole di avere poi 48h per recuperare al meglio.
Nella stesura della scheda non è neanche detto che bisogna mantenere le ripetizioni, il carico utilizzato o l’intensità costanti in tutte le serie, risulta utile capire come si può giocare su questi parametri.
Mano a mano che si svolgono serie in uno stesso esercizio, si può lavorare con tre diverse modalità:
- Se si decide di lavorare con RIR e ripetizioni costanti, automaticamente il carico utilizzato di serie in serie deve calare. Questo può risultare utile negli esercizi ai macchinari, dove il carico utilizzato si cambia in pochi secondi, anche se risulta sempre abbastanza complicato valutare quali siano gli scatti di peso da ridurre per mantenere gli altri due parametri invariati;
- Se si opta per serie a ripetizioni e carico costanti, le RIR diminuiscono abbastanza linearmente. Questa scelta ha molto senso in un contesto in cui si desidera che la prossimità al cedimento aumenti con l’andare avanti dell’allenamento. Personalmente la trovo molto utile, in quanto permette di raccogliere un numero maggiore di informazioni riguardo le proprie potenzialità. Generalmente, se si parte con un 2RIR, dopo 3-4 serie si giunge a 0RIR con lo stesso numero di reps;
- Se si vogliono mantenere RIR e carico costanti, l’accumularsi di fatica non permette di svolgere sempre lo stesso numero di ripetizioni all’andare avanti delle serie.
In questo caso può venire in aiuto l’utilizzo di range di ripetizioni.
Ad esempio, il classico 3×12 può essere sostituito dalla dicitura 3×8-12, con cui, se si assegna un’intensità di 2RIR, si intende: “Svolgere tre serie con un carico che permetta di chiudere tra le otto e le dodici ripetizioni rimanendo con due potenziali.”
Dunque, è ora noto come la difficoltà del programmare questi parametri nasca fondamentalmente dal fatto che ci sono un numero illimitato di possibilità di incastro, che si vanno a sommare alla scelta della split, delle tecniche di intensità, della densità, ecc.
Per quanto riguarda le seconde, infatti, valuterei l’evitare il raggiungimento del cedimento soltanto nel contesto del JumpSet, ovviamente non oltre le medie ripetizioni, e delle SuperSerie in cui si lavora sullo stesso gruppo muscolare e in cui il primo esercizio non sia ad alte reps, in modo da non arrivare al secondo movimento a utilizzare un’intensità meccanicamente non allenante.
La programmazione all’interno del mesociclo, quindi, non deve mai perdere di vista quanto detto fino a ora, puntando, inoltre, a un incremento delle variabili basate sui feedback riguardanti le stesse del soggetto, cui è richiesta una raccolta dati costante.
Infatti, il microciclo deve andare, sì, a diventare più allenante e faticoso di volta in volta, ma è importante che tenga sempre conto delle capacità e situazione del soggetto che, oltre a recuperare dagli allenamenti, potrebbe anche dover aver a che fare con situazioni di stress e fatica provenienti dal mondo esterno.
Andando in direzione temporale, voglio iniziare parlando del microciclo introduttivo, che consiste in 1-2 microcicli, quindi, di solito, settimane, in cui l’allenamento è caratterizzato da un’intensità molto blanda. Questo può essere un’ottima opzione:
- Quando la settimana di scarico, attivo o passivo che sia stata, non è bastata e, di conseguenza, per ottimizzare i tempi, si vuole avere un primo approccio con il mesociclo nuovo continuando a puntare principalmente sul recupero;
- Quando si sta per iniziare un mesociclo con split, diversi movimenti, orario di allenamento, rep. range, ecc differenti rispetto a quelli cui si è abituati;
- Quando l’inizio di un nuovo mesociclo corrisponde con alcuni giorni in cui, per fattori esterni o interni che siano, non ci si può allenare con un certo impegno.
Iniziare un mesociclo in questa maniera prevede di essere molto generosi nell’impostazione del RIR, tanto che, addirittura, alcuni tecnici anglosassoni suggeriscono di mantenere le circa 4RIR su tutti i movimenti. D’altro canto, da quanto analizzato e riportato precedentemente sia riguardo l’intensità allenante che la percezione di questa, ritengo più sensato regolarsi sulle 3RIR, senza mai scendere sotto le 2 in nessun movimento o rep. range, in modo da ottimizzare al meglio il recupero senza, però, deallenarsi.
Questo tipo di impostazione andrà poi a essere alterato per creare la prima vera e propria settimana allenante. Di sicuro, a succedere un microciclo introduttivo, deve essere un incremento dell’intensità, per adagiarsi sui parametri riportati nei paragrafi precedenti.
Di conseguenza, si potrebbe iniziare portando il RIR dei multiarticolari pesanti a stabilizzarsi sulle 2RIR, mentre, partendo dallo stesso valore, arrivare nell’ultima serie degli esercizi di isolamento a cedimento. Se, invece, il nuovo mesociclo dovesse avere una parte del lavoro spostata sulle alte ripetizioni si potrebbe sin da subito lavorare a cedimento fisso.
A questo punto è necessario che si vada man mano a costruire degli allenamenti a stimolo crescente nel tempo che consentano alla persona di spingere per almeno 6-8 settimane senza che avverta la necessità di scaricare.
Allora, le possibilità di incremento sono infinite. Ci si potrebbe sicuramente regolare sulla base di valori come MEV e MRV, anche se risultano davvero scomodi nel pratico, perché dipendenti estremamente dall’intensità tenuta e necessitano di un’enorme raccolta e analisi di dati.
Di conseguenza, nella selezione del volume a inizio e fine mesociclo, quando si hanno poche informazioni sul soggetto, conviene attenersi ai suggerimenti sopra riportati, adatti più o meno a una grossa fetta di persone, dopodiché, di periodo in periodo, è la raccolta dati a fornire le info necessarie a questo parametro in partenza e conclusione.
Sull’intensità di possono fare diversi tipi di progressioni:
- Incremento di volume e decremento delle RIR allo stesso tempo;
- Decremento delle RIR e mantenimento del volume;
- Incremento del volume e mantenimento delle RIR;
- Questa risulta la scelta più audace in quanto l’aumento delle serie allenanti accompagnato da quello dell’intensità potrebbe andare di colpo a far superare all’atleta le capacità di recupero, richiedendo un passo indietro.
Altro discorso riguarda invece l’incremento intermittente, di conseguenza i due parametri vengono aumentati a seconda della risposta della persona.
Ad esempio, parlando di una possibile programmazione sui quadricipiti, parto la prima settimana con 10 serie allenanti, di cui 3 di squat e 3 di leg ext. il primo giorno e 4 di affondi alla seconda seduta. Tengo un’intensità di 3RIR sul primo, di 2RIR sul secondo e sul terzo. Procedo abbassando (ipoteticamente) le RIR ogni due settimane e, quando si vanno a creare le caratteristiche che richiedono un aumento del volume allenante, incremento le serie a parità di intensità. Quindi, ipotizzando una quinta settimana in una condizione con squat a 2RIR, leg ext. a cedimento e affondi a 1RIR, incremento due serie allenanti totali senza variare il RIR e mantengo la situazione per valutare se sto recuperando come desiderato;
- Si può optare per un incremento soltanto del parametro intensità, quindi una riduzione graduale delle RIR di settimana in settimana.
Questa opzione ha molto senso dal momento in cui già si parte da un volume allenante abbastanza elevato e la persona non ha la possibilità di trascorrere più tempo in palestra o di aumentare le sedute.
Mentre nell’esempio precedente la persona poteva spingersi su entrambi i parametri per arrivare a una condizione che avrebbe richiesto uno scarico, quindi mantenendo un’intensità più bassa, qui la l’“overreaching funzionale” potrebbe essere ricercato nel raggiungimento di RIR davvero basse nelle ultime settimane.
Questo si tradurrebbe in 0-1RIR nei multiarticolari pesanti, mentre, nel resto, un’intensità dall’1RIR in giù, fino ad andare oltre al cedimento con il possibile (e qui molto sensato in diversi contesti) inserimento di tecniche di intensità;
- Ancora, potrebbe avere senso anche optare per un incremento del volume di allenamento senza toccare l’intensità.
In questo caso è fondamentale che l’atleta abbia a disposizione molto tempo per allenarsi e/o possa farlo molto spesso.
Questa scelta può avere senso in due contesti, ironicamente, quasi opposti.
Il primo riguarda una persona che ha evidente difficoltà a gestire le RIR, molto spesso, allora, con poca esperienza di allenamento. In questo caso può essere molto utile utilizzare una strategia in cui, assegnata un’intensità molto elevata (il soggetto sovrastima l’intensità utilizzata quando si allena, ecco che viene in ausilio l’osservazione esterna), si procede con l’incrementare a ogni o ogni paio di microcicli le serie allenanti, in modo da accumulare comunque uno stimolo ipertrofico.
Come accennato in uno dei paragrafi precedenti, l’esposizione a un’alta intensità di carico nel tempo dovrebbe consentire automaticamente a una persona di migliorare la propria capacità di percepirla.
Il secondo caso, invece, riguarda un atleta intermedio o avanzato che sia oggettivamente molto forte. In questo contesto, l’incremento del volume di allenamento può esporlo molto meno alla possibilità di infortunio dettata dai carichi molto elevati. Poiché sappiamo che, in fondo in fondo, la longevità è la chiave del culturismo, allora potrebbe essere molto sensato optare per questa progressione.
In fine, considerata la differenza sulla percezione dell’intensità che si può avere di giorno in giorno cui ho accennato in uno dei precedenti paragrafi, potrebbe risultare sempre conveniente adottare l’utilizzo di range di ripetizioni più o meno ampi.
Infatti, il primo obbiettivo da raggiungere nel momento in cui in una serie si è scelto un carico sbagliato è quello di toccare l’intensità indicata.
Questo significa che, se viene indicato 3×8-12 2RIR, l’obbiettivo principale è di rimanere in quell’intervallo di ripetizioni con un carico X che mi consenta di conservarne due di scarto.
Così, mentre in una seduta, per esempio, i manubri da Xkg portano il soggetto a 11 ripetizioni, nella successiva potrebbero portarlo a 9 o 12 con la stessa intensità percepita.
Ancorarsi a un numero di ripetizioni fisse, invece, può risultare controproducente su due fronti:
- Potrebbe portare un soggetto a fermarsi prima di aver raggiunto l’intensità indicata solo perché ha toccato l’esatto numero di ripetizioni target;
- Potrebbe risultare in esecuzioni sporcate, forzate, non allenanti e potenzialmente infortunanti nel momento in cui è stato selezionato un carico troppo elevato e l’atleta continua a macinare ripetizioni per raggiungere il numero target.
Inoltre, il range di ripetizioni potrebbe essere utilizzato anche nella vera e propria programmazione, cercando di indicare come ci si dovrebbe muovere all’interno dell’intervallo a seconda di come cambi il buffer ricercato.
Infatti, una progressione di intensità potrebbe farsi accompagnare da uno spostamento lungo un range di ripetizioni programmato.
Quindi, prendendo l’esempio di un esercizio a caso, si potrebbe programmare:
SETTIMANA 1 | 3X8 | 12RM | (4RIR) |
SETTIMANA2 | 3X9 | 12RM | (3RIR) |
SETTIMANA3 | 3X10 | 12RM | (2RIR) |
SETTIMANA4 | 3X11 | 12RM | (1RIR) |
… | … |
Potendo, potenzialmente, accompagnare a questa progressione degli incrementi di volume sulle serie allenanti con lo scorrere delle settimane.
Una forte limitazione di questa opzione risulta dalla problematica della gestione dei carichi che potrebbe comportare la scelta di un peso sopravvalutato o sottovalutato avendo delle indicazioni così restrittive a cui attenersi e considerando gli incrementi o decrementi della performance che si potrebbero verificare con gli adattamenti del corpo all’allenamento.
Per questo ritengo quasi sempre più saggio puntare su progressioni su di un singolo parametro alla volta, in modo che, sì, viene creata una progressione, ma viene anche lasciato modo di comprendere come questa abbia creato degli effetti sulla persona.
Ovviamente, la scelta del carico allenante risulta una delle cose più complicate e considerare che la fatica influenza fortemente la capacità di gestirlo con l’avanzare delle serie complica il tutto ancora di più.
Come già accennato precedentemente questo fattore è altamente soggettivo, ma l’impostazione di alcuni parametri può fornire delle linee generali per comprendere come gestire al meglio i pesi che si sceglie di utilizzare.
Dal momento in cui nel programma si è deciso se il carico va mantenuto costante o modificato, allora bisogna considerare che:
- Ogni serie portata più o meno in prossimità del cedimento ha influenza sulle successive;
- Un’intensità superiore avrà un impatto negativo maggiore sulle serie a seguire, richiedendo un abbassamento più elevato del peso utilizzato se si vuole mantenere la performance stabile;
- La diminuzione delle RIR prossimali al cedimento vede un andamento abbastanza lineare, con la discesa di circa 1RIR in ogni serie a parità di carico e ripetizioni.
Questo si traduce in un andamento ipotetico del genere:
Serie | Carico | Ripetizioni | RIR | |
1 | X | Y | 2 | |
2 | X | Y | 1/2 | |
3 | X | Y | 1/0 | |
4 | X | Y | 1/0 |
– Se le RIR e le ripetizioni vogliono essere mantenute costanti, allora il carico va ridotto all’incirca del 2,5-5% a ogni serie.
Questo si traduce in un andamento ipotetico del genere:
Serie | Ripetizioni | RIR | Carico | |
1 | X | ≤3 | Y | |
2 | X | ≤3 | Y-2,5/5% | |
3 | X | ≤3 | Y-5/10% | |
4 | X | ≤3 | Y-7,5/15% |
- Se le serie da effettuare in un esercizio sono >=4 e l’obbiettivo è raggiungere il cedimento sull’ultima, allora, sperimentalmente potrebbe risultare sensato partire da 2RIR nella prima o nelle prime due serie.
L’ultima o le ultime due settimane del mesociclo, invece, hanno una caratteristica differente che può consentire di gestirle in maniera leggermente diversa.
Infatti, lo scarico è alle porte e, soprattutto nell’ultimo microciclo prima di questo, bisogna tenere conto che la fatica non deve essere per forza dissipata completamente per la settimana successiva, in quanto, allora, non c’è la ricerca della performance e dello stimolo ipertrofico.
Quindi, può avere senso spingersi oltre ricercando quello che viene definito come “Overreaching Funzionale”, ovvero un accumulo di fatica generato dall’allenamento che superi quello recuperabile dal corpo nel brevissimo termine e che sia accompagnato da un forte stimolo ipertrofico.
La ricerca di questo può essere ottenuta in due modi:
1. Con la ricerca di intensità molto elevate;
2. Con la ricerca di volumi molto elevati.
Nel primo caso potrebbe essere opportuno tenere negli esercizi “pericolosi” un 0RIR e in tutti gli altri arrivare a cedimento concentrico o addirittura oltre, con la possibile introduzione del cheating su alcune alzate sicure e che allenino un gruppo muscolare nella fase eccentrica. [13]
Nella seconda possibilità, più che la pura aggiunta di serie allenanti, che comunque si presterebbe al caso, trova terreno fertile l’inserimento di dropset e rest-pause, in grado di esaurire completamente il muscolo target e di non incrementare troppo la durata della seduta di allenamento.
In realtà, un connubio tra i due metodi potrebbe risultare anche come soluzione ideale.
Quando, dunque, si arriva ad aver bisogno dello scarico (e questa non risulta la sede per parlare dell’argomento in sé), e si opta per un tipo di scarico attivo, la cosa che bisogna avere in mente è che non si sta ricercando un incremento di qualcosa.
Infatti, il microciclo di scarico deve dissipare la fatica cumulata e non stabilizzarla o aggiungerne. Di conseguenza, oltre alla riduzione del volume di allenamento e, eventualmente, della frequenza ha senso abbassare l’intensità evitando possibilmente di scendere sotto un valore >=4RIR.
Conclusioni e considerazioni finali
Per concludere l’articolo vorrei sottolineare come quanto detto nei paragrafi precedenti abbia senso soltanto se protratto per un periodo molto lungo di tempo, con costanza e continuità.
Prendere in considerazione tante piccolezze, fare tanti calcoli e pianificare al minimo dettaglio l’allenamento non colma la mancanza di impegno e dedizione, basta pensare al fatto che, fino a qualche anno fa, il modo di programmare è stato estremamente basilare, eppure di risultati considerevoli se ne sono visti.
In questa sede ho preferito tenermi sul delineare un contorno essenziale nel parlare del RIR e del cedimento. Ho accennato ad argomenti come serie allenanti, microciclo di scarico, specializzazione dei gruppi muscolari etc… di cui non sono sceso nel dettaglio.
Inoltre, per forza di cose, alcuni ragionamenti e indicazioni nascono dalla pura esperienza e “perché così si fa”; la letteratura scientifica non è in grado di colmare ogni aspetto valutato in un argomento di tale ampiezza. Se parte delle cose scritte in questo articolo dovessero rivelarsi scientificamente infondate, sono contento di modificarle, ovviamente dopo un’attenta analisi del materiale in contrasto.
Se qualcosa non risulta limpido, sono a disposizione per qualsiasi chiarimento riguardo l’argomento cardine dell’articolo o gli argomenti collaterali cui ho accennato poc’anzi.
Grazie mille per l’attenzione.
[1] Davies, T., Orr, R., Halaki, M., & Hackett, D. (2016). Effect of Training Leading to Repetition Failure on Muscular Strength: A Systematic Review and Meta-Analysis. In Sports Medicine (Vol. 46, Issue 4, pp. 487–502). Springer International Publishing. https://doi.org/10.1007/s40279-015-0451-3
[2] Hackett, D. A., Johnson, N. A., Halaki, M., & Chow, C. M. (2012). A novel scale to assess resistance-exercise effort. Journal of Sports Sciences, 30(13), 1405–1413. https://doi.org/10.1080/02640414.2012.710757
[3]Helms, E. R., Cronin, J., Storey, A., & Zourdos, M. C. (2016). Application of the Repetitions in Reserve-Based Rating of Perceived Exertion Scale for Resistance Training. Strength and Conditioning Journal, 38(4), 42–49. https://doi.org/10.1519/SSC.0000000000000218
[4] Ormsbee, M. J., Carzoli, J. P., Klemp, A., Allman, B. R., Zourdos, M. C., Kim, J. S., & Panton, L. B. (2019). Efficacy of the repetitions in reserve-based rating of perceived exertion for the bench press in experienced and novice benchers. Journal of Strength and Conditioning Research, 33(2), 337–345. https://doi.org/10.1519/JSC.0000000000001901
[5] Steele, J., Endres, A., Fisher, J., Gentil, P., & Giessing, J. (2017). Ability to predict repetitions to momentary failure is not perfectly accurate, though improves with resistance training experience. PeerJ, 2017(11). https://doi.org/10.7717/peerj.4105
[6] Zourdos, M. C., Klemp, A., Dolan, C., Quiles, J. M., Schau, K. A., Jo, E., Helms, E., Esgro, B., Duncan, S., Garcia Merino, S., & Blanco, R. (2016). Novel Resistance Training-Specific Rating of Perceived Exertion Scale Measuring Repetitions in Reserve. Journal of Strength and Conditioning Research, 30(1), 267–275. https://doi.org/10.1519/JSC.0000000000001049
[7] Morán-Navarro, R., Pérez, C. E., Mora-Rodríguez, R., de la Cruz-Sánchez, E., González-Badillo, J. J., Sánchez-Medina, L., & Pallarés, J. G. (2017). Time course of recovery following resistance training leading or not to failure. European Journal of Applied Physiology, 117(12), 2387–2399. https://doi.org/10.1007/s00421-017-3725-7
[8] Schoenfeld, B. J., Contreras, B., Vigotsky, A. D., Ogborn, D., Fontana, F., & Tiryaki-Sonmez, G. (2016). Upper body muscle activation during low-versus high-load resistance exercise in the bench press. Isokinetics and Exercise Science, 24(3), 217–224. https://doi.org/10.3233/IES-160620
[9] Baz-Valle, E., Fontes-Villalba, M., & Santos-Concejero, J. (2018). Total Number of Sets as a Training Volume Quantification Method for Muscle Hypertrophy: A Systematic Review. Journal of Strength and Conditioning Research. https://doi.org/10.1519/JSC.0000000000002776
[10] Schoenfeld, B. J., Ogborn, D., & Krieger, J. W. (2017). Dose-response relationship between weekly resistance training volume and increases in muscle mass: A systematic review and meta-analysis. Journal of Sports Sciences, 35(11), 1073–1082. https://doi.org/10.1080/02640414.2016.1210197
[11] Schoenfeld, B. J., Ogborn, D., & Krieger, J. W. (2017). Dose-response relationship between weekly resistance training volume and increases in muscle mass: A systematic review and meta-analysis. Journal of Sports Sciences, 35(11), 1073–1082. https://doi.org/10.1080/02640414.2016.1210197
[12] Lasevicius, T., Schoenfeld, B. J., Silva-Batista, C., Barros, T. de S., Aihara, A. Y., Brendon, H., Longo, A. R., Tricoli, V., Peres, B. de A., & Teixeira, E. L. (2019). Muscle Failure Promotes Greater Muscle Hypertrophy in Low-Load but Not in High-Load Resistance Training. Journal of Strength and Conditioning Research, 1. https://doi.org/10.1519/jsc.0000000000003454
[13] Schoenfeld, B. J., Ogborn, D. I., Vigotsky, A. D., Franchi, M. V., & Krieger, J. W. (2017). Hypertrophic Effects of Concentric vs. Eccentric Muscle Actions: A Systematic Review and Meta-analysis. In Journal of Strength and Conditioning Research (Vol. 31, Issue 9, pp. 2599–2608). NSCA National Strength and Conditioning Association. https://doi.org/10.1519/JSC.0000000000001983
[14] Zourdos, M. C., Goldsmith, J. A., Helms, E. R., Trepeck, C., Halle, J. L., Mendez, K. M., Cooke, D. M., Haischer, M. H., Sousa, C. A., Klemp, A., & Byrnes, R. K. (2019). Proximity to Failure and Total Repetitions Performed in a Set Influences Accuracy of Intraset Repetitions in Reserve-Based Rating of Perceived Exertion. Journal of Strength and Conditioning Research. https://doi.org/10.1519/JSC.0000000000002995
[15] Schoenfeld, B. J., Ogborn, D., & Krieger, J. W. (2016). Effects of Resistance Training Frequency on Measures of Muscle Hypertrophy: A Systematic Review and Meta-Analysis. In Sports Medicine (Vol. 46, Issue 11). Springer International Publishing. https://doi.org/10.1007/s40279-016-0543-8
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